Questo scritto affronta il tema della presenza e del lavoro delle donne in salina, muovendo dalle testimonianze di tre donne che in modo diverso e in momenti diversi della vita l’hanno frequentata.
Maria Pia Alessi e Adele Strada, nate rispettivamente l’otto febbraio 1935 e il dieci ottobre 1924, sono donne che hanno praticato la salina per lo più nella vita adulta, l’una nel ruolo di figlia, l’altra prevalentemente nel ruolo di moglie di un salinaro1Maria Pia Alessi e Adele Strada si sono sempre conosciute e tuttora l’una chiede sempre dell’altra, sono due donne molto diverse nell’aspetto, nei comportamenti e nella loro storia personale. Maria Pia è legatissima al mondo della salina a cui fanno riferimento le sue origini per via paterna, il ricordo di quel mondo risveglia in lei sentimenti positivi, lì da ragazzina ha conosciuto anche l’uomo che, dopo decenni, divenuto vedovo, diverrà suo marito. Adele viene dal mondo contadino e sebbene coniugata a un salinaro, non ha mai condiviso i modi di vita di quel mondo. Ama più spesso parlare di musica, della sua frequentazione del teatro Alighieri a Ravenna e dei suoi viaggi compiuti dopo la separazione dal marito..
Considerate le costrizioni alle quali sono state soggette in quanto donne in un ambiente lavorativo abitato prevalentemente da uomini, le loro narrazioni sono particolarmente illustrative della costruzione (Foucault M.; 1998, 2003) di un modo peculiare di stare delle donne, in un mondo di pratiche consolidate e di valori condivisi tra i salinari.
Per questo tratteremo ampiamente delle loro storie, mentre la testimonianza di Adele Giordani, nata il nove aprile 1940, sarà utile per comprendere le peculiarità della presenza delle bambine in salina.
Donne, lavoro e lavoro in salina
Diversamente dalla convinzione comune che vede il lavoro delle donne come una conquista dei tempi moderni, le donne nei secoli hanno sempre lavorato sia fuori che dentro la sfera domestica. Questa conoscenza appresa dalla ricerca storiografica non è accompagnata da un’ altrettanto certa conoscenza sui numeri della presenza delle donne nel lavoro extradomestico, per ragioni legate, in primo luogo, al carattere spesso informale e intermittente della loro partecipazione al mercato del lavoro (Groppi A., 1996).
Per il caso di cui trattiamo possiamo ottenere alcune informazioni da uno scritto del 1894 di Emilio Rosetti (Silvestri Alberto, 1998, p. 80) il quale, parlando del «desolante piano delle saline», scrive: “Vi lavorano 407 operai maschi e 106 femmine, in media per 170 giorni l’anno”.
Ma ancora più scarse sono le conoscenze dei vissuti delle donne all’interno dei lavori che hanno svolto nel corso della storia.
Questo stato di cose va posto in relazione con le ragioni storiche e culturali secondo le quali mentre l’identità maschile è stata definita nelle diverse epoche prevalentemente in relazione al mestiere, quella femminile è dipesa essenzialmente, e dipende ancora oggi, dallo stato civile (sposata, nubile, vedova) e dalla posizione occupata dalla donna all’interno della famiglia (figlia, moglie, madre, sorella) (ibidem).
Tale elemento di carattere sociale e culturale ha causato, e continua a determinare, una frattura fra la presenza femminile nel lavoro e il valore che ad esso veniva e viene ancora oggi attribuito.
Volendo cogliere alcune specificità del lavoro delle donne nel mondo produttivo della salina è necessario ricorrere ad alcune considerazioni preliminari.
La salina, intendendo con tale espressione la salina a produzione artigianale a «raccolta multipla»2Le saline di Cervia, a differenza delle altre, furono condotte fino al ‘59 con un sistema antichissimo, lo stesso usato dai suoi costruttori, producendo un sale diverso da tutto quello coltivato in Italia. Il lavoro era prettamente artigianale e si effettuava la raccolta multipla, in base alla quale la levata giornaliera interessava solo un quarto dei bacini salanti. La raccolta ovvero la pulitura del sale di tutta la salina veniva fatta in quattro giorni consecutivi, poi vi era un giorno di riposo. Solo dopo la seconda guerra del Secolo scorso la pulitura e la raccolta venne fatta cinque giorni su cinque, come la definiva la direzione generale dei Monopoli dello Stato, cioè effettuata tutti i giorni della stagione salifera». Nella mia ricerca si cita solo il primo sistema di raccolta che prevedeva un giorno di riposo. Cfr. Medri S.- Marzelli, E., 2007, Storia e cultura di una civiltà salinara, C.F.P. ENGIM, Ravenna , che a Cervia è stata attiva sino alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, trovava nella famiglia la sua unità produttiva.
Il Monopolio Statale delle Saline affidava la conduzione della salina ad un salinaro, il quale adoperava tutte le forze che aveva a sua disposizione, in primo luogo quelle all’interno della famiglia, per condurre tale lavoro nel modo più proficuo possibile, ovvero adoperandosi affinché il reddito derivante da tale lavoro restasse nell’ambito familiare.
Prima di trattare quest’ultimo aspetto cruciale che si intreccia con l’ingresso delle donne nel lavoro in salina, è opportuno dedicare alcune parole ai primi contatti che esse, durante l’infanzia, ebbero con questo ambiente.
Bambine in salina
La salina, contesto prevalentemente maschile, oltre ad essere luogo di lavoro, era anche territorio di caccia e di pesca; queste attività portavano ad una maggiore frequentazione della salina da parte dei figli maschi che venivano pertanto iniziati ben presto alle attività svolte dagli uomini.
Sebbene questo fosse il comportamento più diffuso, non mancavano occasioni nelle quali anche le bambine venivano portate in salina.
Maria Adele Giordani, figlia di un salinaro e di una cavatrice di sale, nonché coltivatrice di un appezzamento di terreno, racconta la sua prima volta in salina all’età di sette anni:
M.A.G.: Ero piccola, i miei genitori, il mio babbo mi portava nelle saline perché lui era talmente innamorato, aveva questa passione incredibile del suo lavoro, tant’è vero che lui ne parlava sempre quando eravamo a pranzo. Il discorso era sempre che aveva fatto del sale, un sale bello bianco, c’era quasi una gara, no, perché credo che venissero premiati i salinai che producevano il sale e quindi lui era proprio innamorato e ci voleva coinvolgere, e la mia mamma lavorava in casa poi anche in un appezzamento di terra, però lavorava anche nelle saline quindi attivissima e mia mamma era una «cavatora»3La «cavatora»: colei (o colui, più raramente) che è impegnata/o a togliere il sale dalle vasche. come diciamo sì toglieva il sale sì e così e quindi anch’io andavo con lei.
Mi ricordo la prima volta che sono andata alle saline, me lo ricordo particolarmente perché quando sono arrivata ero scalza naturalmente perché assolutamente bisognava essere scalzi, io mi ricordo che cominciai a correre a correre perché mi bruciavano i piedi e difatti ero caduta il giorno prima e avevo fatto una ferita e questa a contatto con il sale e cominciai a piangere e mi disse che assolutamente era una cosa… e quindi cominciai così e mio babbo mi faceva lavorare in salina, allora mi dava una specie di pala no, lunga, penso che si chiama ê ghêvar4Ĕ ghêvar. Attrezzo formato da assicelle che possono avere varie dimensioni. A seconda della grandezza servono per smuovere il sale nei bacini, a rompere la crosta, al livellamento ed all’accumulo del sale tramite un’azione di spingimento vicino agli arginelli, nei bacini salanti per la raccolta., adesso lo dico come, questa pala lunga, questa asta collegata ad una specie di pala serviva per far sì di portare il sale superficialmente nella parte estrema e lui diceva che ero brava, che avevo una mano molto delicata e che riuscivo a portare il sale nell’altra estremità senza raccogliere delle impurità perché c’erano delle impurità nel sale, quindi per me era una gioia, ero piccola eh, potevo avere sei sette anni, quindi mi ricordo questo particolare del… delle saline [Giordani Maria Adele, 14 luglio 2016].
Il racconto ci svela un approccio precoce e per un verso negativo con la durezza del luogo, controbilanciato dalla ricompensa sociale e morale ricevuta dal padre che apprezza il gesto “delicato” di Maria Adele nel riportare il sale ai margini del bacino. Questo apprezzamento rimanda all’identificazione dei gesti delicati “delle donne” con alcune abilità funzionali a specifiche attività che si svolgevano in salina.
Questa testimonianza mitiga le difficoltà e la gravosità che l’esperienza della salina poteva assumere per una bambina, come riporta Maria Pia Alessi, figlia di un salinaro, e nipote del nonno Valerio, salinaro anch’egli, e della nonna Giovannina, cavatrice.
M.P.A: […] ho sempre abitato nella casa dei nonni che attualmente era stata presa dai suoi bisnonni e noi abbiamo sempre abitato, sempre vissuto qui [la casa fa parte del gruppo di case denominato borgo dei salinari], la mamma ha sempre lavorato dalle suore perché il babbo era via e poi cosa posso dire ancora della mia mamma…?
I nonni sono stati molto carini, nel quarantasei è morto il nonno, no nel quarantotto il nonno è morto, il babbo è […]… poi non l’abbiamo più visto per parecchi anni ancora, e la mamma ha lavorato dalle suore e in più faceva la cuoca ai suoi fratelli, la porta dopo la nostra, io ero bambina andavo a portare da mangiare a mezzogiorno al nonno alle saline che aveva le saline dove si va per andare alla Terme dove cioè il casello oltre la Madonna del Pino ma nella valle delle saline… con strade sterrate.
M.A.: Quanti anni avevi quando… ?
M.P.A.: Con strade sterrate e con gli zoccoli ai piedi, non c’erano le scarpe da tennis, e ho cominciato a lavorare ero una bambina, una bambina… quando portavo da mangiare ai nonni potevo avere otto, nove anni e facevo tutta quella strada e in più andavo ad aiutare la nonna Giovannina dalla parte di mia mamma che aveva i bagni alla spiaggia che allora si portavano su i mosconi, si mettevano su le cabine per l’anno dopo e tutte le sere andavo a aiutare mio zio, il fratello di mia mamma a portare su i remi, gli sdrai, gli ombrelloni, le tende che si piantavano con i tappi di legno e si spostavano quando dove c’era il sole…
[…] Il babbo mi faceva «dare giù la crosta5«Dare giù la crosta». Rompere la crosta che faceva l’acqua e che impediva la formazione del sale» come si diceva allora, si prendeva l’arnese e si andava a muovere l’acqua nei bacini perché altrimenti faceva la crosta e invece loro dovevano prendere… […] e poi e niente se c’era da forare un buco lì vicino me lo faceva fare perché scorresse l’acqua, sì quelle lì erano cose da bambini… [Alessi Maria Pia, 22 giugno 2016].
Le voci di queste donne costituiscono un esempio di come l’adeguamento al ruolo femminile agisse precocemente e di come neppure la condizione infantile fosse sufficiente a tutelarle dalla fatica, aggravata dal doversi dividere fra compiti in salina e il lavoro nei bagni al mare, entrambi trasmessi attraverso le generazioni e incorporati per genere.
Fatica, vissuti delle «cavatrici» del sale
A questo punto è opportuno chiedersi: le bambine, una volta divenute adulte, secondo quali canali entravano nel lavoro in salina? E una volta entrate nel lavoro come agiva «l’emarginazione non dal lavoro ma nel lavoro» in salina? (Piccinini G., 1996, p. 31). O meglio quali erano i modi, le qualità, le variabili con cui era regolata la presenza femminile nel mondo produttivo della salina che possiamo cogliere attraverso l’analisi delle fonti orali?
Le storie di vita raccolte ci forniscono esempi di differenti declinazioni della presenza lavorativa delle donne nella salina artigianale. Troviamo esempi che corrodono il preconcetto secondo il quale il lavoro femminile fuori dalle mura domestiche sia un’esperienza solo successiva alla modernizzazione, altri esempi testimoniano le forme di regolazione a cui la presenza lavorativa femminile era soggetta, e infine vi sono pratiche che mettono in dubbio il carattere del lavoro femminile come semplice integrazione di quello maschile del capofamiglia (Groppi A., 1996, p. XV).
La prima esperienza lavorativa in salina di Adele Strada costituisce un esempio che può essere letto in quest’ultima direzione, in quanto avviene quando lei è ancora ragazza e viene reclutata dal salinaro conduttore e coltivatore della salina che cercava manodopera stagionale per soddisfare i bisogni legati alla raccolta del sale. Questa modalità, nel regime della salina artigianale, costituiva uno dei due canali di ingresso delle donne adulte in salina.
M.A.: Bene, senti Adele tu hai fatto dei lavori prima di iniziare a lavorare in salina?
A.S.: No, andavo… andavo a imparare da sarta, poi aiutavo i miei in casa e in salina sono andata per la prima volta che non avevo neanche l’età che non c’era mio marito e sono andata perché dovevo prendermi l’impermeabile che dopo quando ho preso la prima pioggia si è tutto sfilacciato s’è tutto… l’ho dovuto buttar via…
A cavare [il sale] tutta un’estate!
Me lo ricordo sempre quello lì! [Strada Adele, 28 ottobre 2015].
In questo passo del racconto di Adele emerge come il lavoro in salina potesse costituire uno strumento per ottenere una certa autonomia economica, un reddito per la realizzazione di un proprio desiderio: l’acquisto di un impermeabile la cui caducità stride con la fatica di un’intera estate lavorativa.
Come ci suggeriscono alcuni studi dedicati al lavoro delle donne (Croppi A., 1996), il lavoro femminile è stato spesso un’esperienza autonoma non solo per le ragazze ancora nubili come nel caso di Adele, ma anche per le donne maritate o vedove, smantellando l’idea e lo stesso schema interpretativo che per lungo tempo ha attribuito al lavoro delle donne solo un carattere di residualità e di sussidiarietà rispetto a quello maschile.
Successivamente Adele sposò Libero Daissè, figlio di salinaro e salinaro anch’egli, ed iniziò un nuovo periodo di vita contrassegnato dalla frequentazione e dal lavoro in salina questa volta validato dal fatto di essere moglie.
Ma lasciamo che sia lei stessa a parlarne:
A.S.: Poi dopo quando sono andata con mio marito, quando ho sposato mio marito, lui faceva il salinaro e io andavo a cavare con lui. Insomma, era una paga che rimaneva in casa perché altrimenti insomma ci venivano a seconda del… non so quanto sale si tirava fuori, si pagava, alla fine che c’era il mucchio del sale che dopo si faceva, si portava su ai magazzini, e quindi dopo facevano il conto, un tanto venivano pagati, insomma infatti per Natale c’erano sempre i soldi dei salinari che poi le donne che lavoravano aspettavano quei soldi lì. Tanti salinari aspettavano quei soldi [Strada Adele, 28 ottobre 2015].
Se la prima modalità di ingresso nel lavoro in salina era rappresentata dal lavoro salariato stagionale di raccolta del sale, la seconda modalità – non salariata – riguardava una posizione sociale, ossia il fatto di essere moglie o comunque una donna all’interno del nucleo familiare del salinaro.
L’ingresso del lavoro in salina della donna-moglie, infatti, costituiva uno strumento per salvaguardare l’integrità del reddito del salinaro capo-famiglia, preferibile rispetto a quella di affidare ad estranei al nucleo familiare la funzione di “cavare il sale”.
MA: Cosa facevi in salina?
A.S.: Cavavo, cavavo il sale, lui [il marito] lo preparava e io con la cassettina6La cassettina o la cassetta. Il paniere del sale, la panira, che serve alle cavatrici per trasportare il sale accumulato., lo… con il palunzël7E palunzël. Pala piatta di legno simile al badile che può essere di varie dimensioni e per questo può essere adatto a più lavori: cavatura, carico, scarico e accumulo del sale. lo mettevo nella cassetta, poi la cassetta andando dritto per questi.., ch’ a m sò smenga, che si scivolava era, non era sabbia, era creta che si scivolava, bisognava stare…. [attenti a]… non cadere, poi si metteva nella cassetta [il cariolo] e finché tutto lo strato che arriva … de vargulẽn … e veniva pulito e si divideva in quattro giorni [la raccolta] […], se ne faceva una… quando… perché [ci fosse ] il tempo di granare e quindi si faceva in quattro giorni, poi si faceva un giorno di vacanza e si faceva insomma finché si portava [il sale] su [per] la verga8La verga. Sentiero di terra battuta e compatta che serviva per il trasporto del sale con il carriolo dai bacini salanti all’aia o «tomba del sale» …
M.A.: Ti voglio chiedere questo, bisognava stare molto attenti a lavorare in salina?
A.S.: Sì bisogna avere la mano leggera perché se tu vai, vai, come se tu piantassi qualcosa, vien su il nero… di sotto il fondo è nero, tu dovevi scivolare sopra in modo che il sale fosse pulito, per quello che poi le donne le preferivano perché erano meno pesanti e lavoravano meglio a fare le cavatrici.
M.A.: Eravate molte come cavatrici?
A.S.: Ogni salina ne aveva due sicuro, quant’erano le saline? Non lo so, erano tante e mi ricordo che in tal salēni ce ne erano anche tre o quattro… le più grandi al Milēni9Al Milēni. Nome proprio di alcune saline. Le saline prima del 1959 erano circa 149 (alcune erano state accorpate) e il nome era in qualche modo associato a chi era proprietario dei fondi. Le saline dette al Milēni erano fra le più grandi. sì ce ne erano anche di più, perché secondo come erano grandi non erano tutte precise, le più grandi erano al Milēni.
M.A.: Tuo marito che salina lavorava? E com’era?
A.S.: Era media, era su piuttosto piccola, una bella salina, si lavorava bene, aveva un bel fondo e il sale ha avuto anche il premio per il sale pulito10Il Premio del sale. Alla fine di ogni campagna salifera venivano assegnati 10 premi di sale a coloro che avevano prodotto il miglior sale ovvero il sale più bianco. Il premio veniva dato in forma di un attestato scritto e doveva essere accompagnato anche da un riconoscimento in danaro (cfr. Medri S.- Marzelli E., 2007, Storia e cultura di una civiltà salinara, C.F.P. ENGIM, Ravenna, p. 55). Nella mia ricerca raccontano di aver ricevuto il premio del sale Libero Daissè, Silvano Giunchi, M. Pia Alessi. Nessuno ha menzionato un premio in danaro., sì quindi era piccola ma si lavorava bene. Ah, sì, quando dopo davano i premi ci faceva il sale più bello e quindi quando alla fine che facevano la rimessa11La rimessa del sale, detta «l’armésa de sèl», trasporto e riposizionamento del sale che avveniva in autunno e costituiva l’ultima fase del processo produttivo. Avveniva solitamente nella seconda metà di settembre con il trasporto di quanto prodotto lungo il percorso dei canali e attraverso il caricamento del sale nelle burchielle, (detta al singolare «burcèla») che potevano contenere fino a 100 ql. di sale, per giungere ai magazzini del Seicento chiamati Torre e Darsena sotto la cura della Torre di San Michele. La rimessa del sale proseguiva fino al mese di novembre. Nel tempo ha sempre costituito un evento di grande interesse per tutta la città, a cui partecipavano donne e bambini, e finanche personaggi illustri che venivano da città vicine e lontane. Cfr. parte su padri e figli in salina portavano che proprio uno guidava… e l’altro con la corda tirava a riva [Strada Adele, 28 ottobre 2015].
La «cavatura» del sale costituiva un momento molto importante e delicato del ciclo produttivo del sale che vedeva impegnate molte donne. In ogni salina operavano solitamente due «cavatrici» donne (a volte poteva accadere che a svolgere tale lavoro vi fosse un uomo), preferite in tale ruolo in quanto portatrici di una peculiare abilità corporea legata all’idea di «delicatezza della mano» che si lega ad una specializzazione lavorativa richiesta in una determinata fase del ciclo del lavoro del sale.
D’altro canto le donne non erano esentate da azioni estremamente faticose, come il trasporto del sale con il “carriolo12Il carriolo, attrezzo atto al trasporto del sale dai bacini salanti all’aia con un grosso rullo per ruota per non infossarsi nel fango e fornita di due stanche lunghe ed elastiche per sgravare in parte il peso sulle braccia del salinaro.” fino all’aia, o «tomba del sale13La «tomba del sale». Spiazzo dove si faceva il cumulo del sale o «mont de’ sêl»» , che corrispondeva allo spiazzo dove si faceva il cumulo del sale, attività ancora più impegnativa nei giorni in cui c’era la «doppia cavata14La «doppia cavata». Raccolta del sale che veniva fatta per due volte in una giornata perché c’era il rischio di imminenti condizioni atmosferiche avverse che avrebbero potuto danneggiare il raccolto.». L’evocazione del lavoro in salina per Maria Pia e Adele rimanda senza interposizione allo sforzo richiesto.
M.A.: Bene Adele, ti chiedo questo: quando andavi in salina che sensazione avevi?
A.S.: Ah, sensazione! Sensazione, non ero allegra, ero un po’… perché era dura, dopo mia mamma e mio fratello diceva: “Vai con lei, ci dai una mano a tirare su il carretto” perché lei aveva provato un anno e sapeva che era dura, allora mandava Quarto [il fratello] a darmi una mano perché mio marito non era sensibile ecco, quello mancava proprio perché a volte anche darmi una mano perché aveva più forza… me la dovevo cavare da sola, quello era il mio lavoro e me la dovevo cavare da sola ecco.
M.A: era molto caldo in salina?
A.S.: sì, a parte il caldo andavamo alla mattina alle cinque, quand’erano le nove, dieci ci andavamo a casa insomma, ma era quei giorni che c’era la doppia cavata perché quando il cielo era nuvolo si pensava che dovesse piovere e doveva cavare anche l’altra metà perché altrimenti andava perso troppo, infatti un giorno che ci siam trovati là con una burrasca con quei, non dico tifone, ma un violento temporale, quei temporali estivi che sradicano anche gli alberi e ha sradicato le cose, il casello del compagno della salina accanto ch’i è vulé in te canêl! [Strada Adele, 28 ottobre 2015].
MA: a proposito della tempesta mi hai raccontato questo fatto di Keffer in salina me lo racconti bene?
A.S.: sì eravamo che dunque questa stagione si metteva male e lui diceva: “Dai Adele!” magrolina come sono, allora il sale era e quindi si doveva fare doppio perché si prevedeva il temporale “Adele ti vengono a prendere con la croce rossa!”, e géva, e mè a gèt: Sta zèt Keffer che s’e ven zò quel che là u i n è anch par tè” e quindi quando è venuto proprio giù noi abbiamo tenuto stretto quelle capannine lì con le stuoie, ce le siam tenute strette lì addosso, il vento andava sopra, slittava lì, invece lui con quella casetta là dretta con questa capanna di marina in legno alta dritta piantata in terra ha preso una ventata ed è andata a finire nel canale. Dopo un po’ che è calato dico: “Dai Libero guarda un po’ fuori guarda là dove sono Keffer con suo zio e alóra e dis: “mo u n gn è miga piò Keffer a là”, e dopo quando era finito e siamo andati fuori, erano andati all’ospedale a prenderli, avevano preso una bella botta, erano andati a finire nel canale perché i canali…il giorno dopo poi quando a s avdèmi a geva: ” Keffer alóra cum andèmi?” ci siamo divertiti, era una persona che era carina [Strada Adele, 28 ottobre 2015].
L’evento della burrasca estiva, oltre a trasmetterci il clima di divertimento legato alla vita, a tratti pericolosa, della salina, ci evidenzia come la poca prestanza fisica di Adele, legata alla sua magrezza, fosse spesso oggetto di scherzo da parte di altri salinari; da ciò possiamo comprendere come l’elemento della forza fisica, oltremodo necessario per alcune attività connesse al lavoro in salina, venisse sostenuto e condiviso come un valore in tale contesto produttivo.
Maria Pia a sua volta, pur «amando le saline», parla dell’affaticamento a cui era giornalmente sottoposta, aggravato dal doversi continuamente rapportare alla prestanza fisica degli uomini con i quali lei cercava di stare al passo, in particolare del cavatore uomo che condivideva la «cavatura» nella salina del padre e da parte del quale non compare alcun accenno a una qualsiasi forma di aiuto.
M.A.: Com’era il lavoro in salina?
M.P.A.: Pesantissimo.
M.A.: Perché?
M.P.A.: Per una donna perché portavi su dei quintali, perché io ero orgogliosa, volevo stare a pari, chissà perché non ho avuto mai cavatrici…, una volta sola da donna potevo stare, potevo stare a pari sua di lei, ma avevo sempre uomini, ragazzi erano più forti di me, io per orgoglio volevo stare pari di loro e naturalmente la sentivo la stanchezza, però reagivo e facevo quel che dovevo fare, non mi lasciavo impressionare se loro erano forti o meno [Alessi Maria Pia, 22 giugno 2016].
Seguendo la storia di Maria Pia possiamo cogliere ulteriori peculiarità del lavoro delle donne in salina, in particolare le regole che disciplinavano la loro presenza. Maria Pia racconta che quand’era molto giovane, poco più di una ragazzina, andava in salina alle due di notte col babbo Vincenzo, lui in motorino e lei in bicicletta. Conobbe le saline prima seguendo il nonno, poi il babbo, soprannominato Stangõn, sua madre Rina, una donna piccola e minuta, venne risparmiata al lavoro in salina perché di salute cagionevole.
M.P.A.: Mia mamma no che non è mai andata in salina, sia io che mio babbo e mio fratello non volevamo che la mamma…, veniva in salina, facevamo una passeggiata, andavamo a trovare il babbo in primavera quando aveva le saline che gliele davano, poi ma quando si levava il sale a volte diceva quando era nuvolo che davano il barcone e allora mettevano fuori la bandiera là nel casello. “Mamma danno il barcone!”15«Dare il barcone». Il barcone era il termine con cui si usava chiamare i bacini delle saline. Dare il barcone significava dare l’allarme con l’alzata della bandiera rossa quando stava arrivando una tempesta in salina. Allora nel Casello di Ravenna, oggi chiuso, veniva alzata la bandiera rossa. Non c’erano alberi fra le case dei salinari, che costituivano il borgo dei salinari, e il Casello di Ravenna, e questo permetteva, nonostante la distanza, di poter vedere la bandiera rossa dalle finestre delle case del borgo e accorrere in salina per raccogliere il sale.!”, “Allora se mi prendi su nella bicicletta”, “Allora debbo prendere su la bicicletta da uomo” la prendevo nel cannone e stava lì con noi, ma mica che facesse niente era, era quarantotto chili mia mamma era piccolina, magrolina [Alessi Maria Pia, 22 giugno 2016].
Quando parla delle saline affidate al padre ci tiene a precisare che a lui spettavano sempre le saline più lontane «e quando arrivavi in salina già eri stanca perché con la bicicletta nei rivelli16II rivello. Argine perimetrale della salina per proteggerla dalle alluvioni. tutta l’erba, c’era un passaggino, così se la ruota t’andava un po’ di traverso, era facile cadere, era una vitaccia da galeotti…».
Il senso di responsabilità per la famiglia, la passione per il lavoro in salina e per quello di sarta di abiti di pregio, per il quale era molto apprezzata anche al di fuori del contesto cervese, una condizione economica familiare precaria, il tragico evento della tempesta in salina che distrusse tutto il sale raccolto, la portarono a fare passi e scelte inaspettate per il padre, come leggiamo dalle parole stesse di Maria Pia.
M.A.: Maria Pia mi parli dei tuoi ricordi di una bufera, una tempesta, in salina?
M.P.A.: Oh stà buona, non me la ricordare quella! C’era la mia mamma quell’anno, doveva venire ancora la cosa, la cavatrice perché si metteva la bandiera nel casello di Ravenna dove c’è l’incrocio adesso e dalla finestra qui quand’ era nuvolo salivo sul davanzale della finestra e vedevo la bandiera perché alberi non ce n’erano, case non ce n’erano e vedevi sta bandiera e allora quell’anno son corsa “Mamma c’è la bandiera17La bandiera rossa. Simbolo di pericolo che veniva esposta al casello di Ravenna in caso di rischio di pioggia o di tempesta. rossa, bisogna che corra subito!”
Era rossa la bandiera, abbiamo levato un po’ di sale e ce n’era tanto nella tomba, veniva chiamata tomba dove c’era la riposizione del sale, e eravamo quasi alla fine però ce n’erano ancora dei bacini che erano… come veniva chiamato ste file di sale? Be’ insomma ad un certo momento c’era la capanna che era fatta con i pini, i rami dei pini piegati e le stuoie sopra piantate nel durone del rivello, mio babbo ha fatto in tempo a dire: ” Correte, correte, correte nella capanna! Correte correte!”.
Insomma abbiamo pianto, mio babbo nelle saline corri da una parte all’altra a aprire tutti i buchi perché scorresse l’acqua e quando è venuto dentro il cumulo del sale non c’era più, aveva portato via tutto con delle raffiche… una tempesta… dei buchi enormi come le uova se non di più stecche anche così… ghiaccio. Ah, quell’anno è stata gnara! Un pochino piangevamo […] non c’era più niente, più niente tutta una fatica di un’estate dopo ne abbiamo… ma oramai eravamo avanti verso la fine di agosto, settembre praticamente non facevi più sale, ne hai fatto un pochino che un po’ di paniere che non abbiamo preso niente quell’anno, soldi niente, e i debiti si sono accumulati perché segnavi dove andavi a prendere il mangiare [Alessi Maria Pia, 22 giugno 2016].
Quell’anno, di fronte alla mancanza di raccolto, il padre inizia a cacciare anatre, anguille, ranocchie e a venderle in pescheria dove «c’era l’Angiulina (Angelina), che diceva: “Dì, quando hai del pesce non lo dare a nessuno, ma dallo a me”, e ce lo pagavano un pochino».
Il ricorso ad altri lavoretti o a mestieri veri e propri, quali quello del macellaio o del barbiere, è una caratteristica che emerge in molte delle testimonianze e denota che se da un lato il lavoro di salinaro costituiva un’entrata sicura, perché retribuita dallo Stato e dava origine anche a dei vantaggi quale quello del diritto ad avere una casa, dall’altro spesso dava un guadagno che non era sufficiente a mandare avanti la famiglia, costringendo così alla ricerca, nei periodi di inattività della salina, di un altro lavoro all’interno di quelle opportunità che offriva il tessuto sociale e lavorativo cervese.
Ma torniamo alla storia di Maria Pia.
M.A.: Maria Pia, quindi tu in pratica un bel giorno dopo aver preso passione…?
M.P.A.: Poi dopo ho cominciato a prendere la passione e mi sono presentata di nascosto a mio babbo e mi ero preparata per levare il sale di nascosto da lui. Andai dalla cavatrice a Pinarella, andai a dire con una di loro “State a casa perché una parte la leviamo…”, “Come se tuo babbo sta poco bene”, “Be’ ci sono io, il babbo mi aiuterà di quello che può fare” e difatti che ho preso passione che ho sempre pian piano ho cominciato a levare il sale e tutta la mia parte… ero molto stanca. Venivo a casa stanca perché avevo un lavoro a casa, la mamma andava a lavorare dalle suore, c’era la casa da pulire, una cosa e un’altra, insomma scivoloni come mai, però ce l’ho fatta e sono andata avanti finché lui s’è ammalato, dopo mi hanno…
M.A.: Poi cos’è successo?
M.P.A.: Mi sono presentata alla notte, mio babbo mi ha corso dietro per le saline, m’ha corso dietro “Ma tu cosa fai a quest’ora?”, “Babbo son venuta a cavare il sale”, “Cosa? E la cavatrice dov’è? “, allora, adesso non mi ricordo il nome, sono andata a dire che una parte la leviamo noi e lui “Puretta mè” in dialetto me l’ha detto “Quest’anno dovrò lavorare più degli altri anni che sto poco bene”, “Babbo vedrai…” mi ero impegnata, proprio intestardita “Vedrai che sarai contento!”. Era una fatica tremenda, però ce l’ho messa tutta, il carattere proprio orgoglioso di poter arrivare fino alla fine, sotto la pioggia, con dei … [Alessi Maria Pia, 22 giugno 2016].
Dunque, Maria Pia di fronte alle difficoltà economiche della famiglia decide di prendere il posto di una delle due lavoratrici stagionali per assicurare alla famiglia una maggiore entrata. Questo atto, che manifesta una certa iniziativa da parte sua e che potrebbe apparirci singolare per il contesto storico e sociale in cui avviene, può viceversa essere letto in linea gli studi di storia sociale che, interessandosi alla condotta delle donne, hanno palesato il ripetuto ruolo di breadwinner che assumevano, facendosi carico del mantenimento della famiglia in momenti di disoccupazione o in assenza del capofamiglia.
Quanto appena detto non deve essere posto in contraddizione con il principio generale che governava la presenza delle donne nel lavoro, e dunque anche nel mondo produttivo della salina artigianale: la separazione dei ruoli su base sessuale, una separazione che ricalcava quella nella sfera familiare e che non consentiva alla donna di accedere al ruolo di salinara, ma poteva essere impiegata unicamente nel ruolo di cavatrice in uno status economico nettamente inferiore rispetto a quello maschile e in una condizione di dipendenza da quest’ultimo.
Resistere, costruire
Le donne nel mondo della salina erano assoggettate ad un doppio potere. Da un lato quello maschile incarnato dalle figure parentali (principalmente padri e mariti, ma anche fratelli), e basato su una netta divisione dei ruoli in famiglia, su una convinzione comune che la donna dovesse non solo porsi in uno stato di subordinazione nei confronti della figura maschile ma che dovesse anche entrare a far parte e integrarsi nella famiglia di origine dell’uomo.
D’altro lato le donne si trovavano in uno stato di subordinazione anche nei confronti dell’organizzazione del lavoro che avveniva per mano della Direzione delle Saline, organizzazione che poggiava sulla cultura sopra descritta di divisione dei ruoli, relegando le donne ai lavori meno retribuiti e ricalcando in un qualche modo le modalità di rapporto fra maschio e femmina presenti in famiglia, considerato che la famiglia costituiva l’unità produttiva su cui si fondava il ciclo di coltivazione del sale.
Gli studi in ambito sociale e storico insegnano che laddove c’è potere c’è resistenza, intendendo con quest’ultimo termine non già un atto di semplice opposizione quanto piuttosto azioni messe in campo dalle persone nella vita quotidiana per «aggirare» il potere e costruire forme di vita a loro più adeguate nonostante la loro condizione di subordinazione (Saitta P., 2015).
Per poter riconoscere le pratiche di resistenza è necessario comprendere quale sia la posta in gioco e il valore che essa assume per chi le mette in azione.
I due casi che trattiamo di seguito costituiscono due esempi di resistenza/costruzione, che muovono da motivazioni differenti e sono diretti a contrastare le due forme di potere appena indicate.
Avere una «casa propria» e non andare a vivere nella casa dei salinari
Sposarsi con un salinaro comportava dei doveri precisi ma portava anche dei privilegi. La vita in salina era dura e la fatica diventava ancora maggiore durante la rimessa del sale. In tale periodo, le donne dovevano sostenere quest’attività portando agli uomini gli alimenti e i vestiti asciutti. Quest’attività poteva essere percepita come faticosa.
Adele viene dal mondo contadino e acquisisce l’identità salinara attraverso la pratica lavorativa in gioventù ma soprattutto nella vita adulta. Identità che si rafforza, attraverso il matrimonio con Gianfranco Daissé, chiamato Libero, nato e cresciuto all’interno del mondo dei valori salinari.
Fra i privilegi di un matrimonio con un salinaro vi era quello di poter andare a vivere nella casa del marito, opportunità che viene percepita e considerata da Adele come un fastidio e costituirà poi motivo di dissidio fra la coppia. Ma lasciamo che sia lei stessa a parlarcene.
A.S.: E poi i salinari avevano anche il diritto di avere la casa ma io non l’ho mai voluta la casa dei salinari: “quando avrò una casa dovrà essere la mia” dicevo, perché io non mi trovavo [a] stare in quelle case, nonostante che io sia nata in una casa quasi stalla perché da una parte avevamo le mucche e da una parte avevamo la cucina, però io in quelle lì io non ci volevo stare perché, sai, tutte avevano da dire, tutte litigavano sempre, non era …, erano case uniche, unica da una parte, unica dall’altra, perché quella di sopra, quella di sotto, questa di qua, quella di là sgridavano sempre o perché uno lasciava le cose in giro, quell’altro … in ogni modo così e io dicevo: “Nella casa dei salinari non ci voglio andare”.
M.A.: tuo marito invece voleva andarci?
A.S.: Ah sì lui, lui c’è sempre stato! Perché lui, suo nonno faceva il salinaro, suo babbo no perché lui suo babbo l’ha piantato e così, ma è vissuto in una casa, l’hanno viziato troppo, erano due sorelle, lei il marito si dovevano proprio sposare, erano pronti, è andato a Roma, si è innamorato di un’altra e si è preso un’altra, e l’altra sorella gli è morto il marito giovane e dopo sono vissuti assieme nonni coi genitori e queste figlie, uno con una figlia, quell’altra con un maschio, sono vissuti assieme.
MA: Quindi non aveva una vera e propria famiglia?
A.S.: Ma era una famiglia allargata, si dice così adesso, che sua mamma e sua sorella erano indivisibili e questi due cugini erano indivisibili anche loro perché erano sempre assieme, perché lei è del ‘20 lui del ’22, c’erano due anni di differenza e lei aveva delle amiche, lui aveva degli amici quindi si trovavano sempre assieme.
M.A.: Adele, volevo sapere: tuo marito come commentava il lavoro del salinaio, cosa diceva?
A.S.: No, no era contento, ma sì fra di loro si facevano qualche critica, ma a lui andava bene ma anche a tutti perché allora avere un lavoro fisso era come adesso, un lavoro fisso era una fortuna ce n’erano poverini che …, lui questo qui non l’ha mai fatto, i soldi li prendeva tanti perché lui dopo faceva il cameriere, faceva tanti lavori e quelli lì se li teneva tutti e ne aveva abbastanza, però lui più di quel tanto alla famiglia non dava, quel che prendeva in salina, poi avevamo anche la salina piccola e quindi non è che prendesse molto, comunque a noi andava bene, solo che io mi sono messa in testa di farmi una casa e lui non era tanto d’accordo, dopo cominciammo un po’ ad avere delle questioni [Strada Adele, 28 ottobre 2015].
In quest’ultimo brano si evidenzia il desiderio di una neo-località da parte di Adele per la nuova famiglia nata dal matrimonio, che si scontra con l’indifferenza del marito, il quale preferisce continuare ad abitare con la famiglia d’origine, cosa che avrebbe comportato una convivenza da parte di Adele con la madre e la sorella di lei che l’avevano cresciuto.
Adele, che per un periodo aveva abitato nelle case dei salinari in Via XX Settembre, esprime una visione negativa del modo di vita che si svolge all’interno delle case del borgo dei salinari: “una casa unica” con una prossimità molto forte fra i vicini, dove i litigi fra le donne erano frequenti. Questo la porta a desiderare una casa propria per sé e la sua famiglia anche se ciò costituirà, assieme ad altre cause, un motivo di frizione coniugale.
Quanto scritto fin qui mette in risalto un comportamento di contrarietà ed estraneità da parte di Adele ad una regola non scritta ma socialmente condivisa sul modo di fare famiglia, che prevedeva, per la donna che si univa in matrimonio ad un salinaro, l’ingresso nella casa della famiglia di origine del marito; una regola sociale sostenuta da un sistema valoriale dove l’uomo aveva maggior peso, al punto da definire, seguendo la propria famiglia d’origine e dunque per linea virale, la residenzialità della famiglia.
Adele alla fine riuscirà ad avere una nuova casa per la sua famiglia e sarà il marito a seguire la moglie nella casa con la famiglia d’origine della moglie. La sua resistenza ad entrare a far parte pienamente del mondo salinaro e il suo atteggiamento volto alla costruzione di una nuova forma di scelta della residenza familiare, caratterizzata dalla prossimità e da un maggiore coinvolgimento della parentela della donna piuttosto che quella del marito, avranno la meglio e la regola sociale sarà sovvertita.
Non far “affondare” la salina del padre e continuare a coltivarla.
Maria Pia è una donna molto integrata nel mondo salinaro, partecipa fin da bambina alla vita che in essa si svolge iniziando a frequentarla all’età di otto anni portando da mangiare al nonno.
Da donna adulta svolge il lavoro di «cavatora», assumendo l’iniziativa di aiutare il padre malato per fare in modo che il guadagno della salina rimanga nella famiglia sostituendosi alla cavatrice di turno. La vita di Maria Pia è piena di difficoltà e di sacrifici per le condizioni cagionevoli di salute del padre e della madre stessa, che viene per questo esentata dal lavoro in salina.
Ma in particolare ci sarà un evento che segnerà la sua vita. Lasciamo che sia lei stessa a parlarcene.
M.A.: Cosa succede a un certo momento Maria Pia a tuo babbo, che non può mandare più avanti la salina?
M.P.A.: È ricoverato a Forlì alla Villa Igea però non è stato operato lì, non mi ricordo, è passato tanto tempo, ad ogni modo la Direzione delle Saline dove c’erano gli impiegati il Direttore sono andata a chiedere se mi mandavano un sostituto e me l’hanno negato che non avevano operai da mandarmi, dopo mi mandar è successo che ha resistito finché ha potuto e poi perché era malato ha dovuto… a forza di dire e fare Dario Giunchi il figlio di un casellante ma lui c’è stato quindici giorni e dopo il suo turno ho mandato avanti io la salina, io e l’altra metà il cavatore abbiamo fatto tanto sale che lì nella fotografia quello che c’è e m’hanno premiato per il sale non perché era bianco perché ero una bambina, una ragazzina diciamo, ce l’ho messa tutta, l’orgoglio, l’orgoglio di fare, di stare pari agli altri.
M.A.: E la Direzione delle Saline cosa voleva fare quando ha visto che…?
M.P.A.: Voleva affondare le saline18«Affondare le saline». Riempire d’acqua le saline affinché non potessero essere utilizzate. che cosa si mangiava dopo? Aria di finestra? Ĕ quello che ho insistito! [Alessi Maria Pia, 22 giugno 2016].
La risposta della Direzione delle Saline di fronte alle difficoltà della famiglia di Vincenzo Alessi, che rischia di non avere più un reddito tratto dalla raccolta del sale, è quella di affondare le saline, in adesione ad una logica formale e burocratica e indifferente ai problemi di sopravvivenza delle famiglie che partecipavano alla produzione del sale.
Per contro, da parte del gruppo domestico, nella persona di Maria Pia, viene messa in campo una resistenza, facendo valere il senso di responsabilità per il sostentamento della famiglia, l’attaccamento al lavoro e alla salina. Opponendosi attivamente nei confronti della volontà della Direzione e chiedendo insistentemente di avere un sostituto salinaro, Maria Pia riuscirà far sì che le saline affidate al padre non siano chiuse ed otterrà in quell’anno un’abbondante produzione di sale.
L’atteggiamento non solidale della Direzione delle Saline si estenderà anche ai salinari, i quali pensavano al proprio benessere, mentre i contadini, che vivevano in prossimità delle saline coltivate, dispensavano il loro aiuto a Maria Pia.
M.A.: E gli altri salinari come hanno reagito quando tu hai deciso…?
M.P.A.: Ma vedi ogni salinaro era, badava alla sua salina perché c’era un po’ di egoismo, mi sono arrangiata sempre da sola.
M.A.: Però c’è stato qualcuno che ti ha aiutato?
M.P.A.: C’erano quelli che tagliavano l’erba nei rivelli quand’era alta che si fermavano e dicevano “ma pór pasaröt…, adesso ti aiuto io un pochino, dai riposati”, ma come la direzione non c’entrava, passavano loro e mi aiutavano, c’era Saporetti19Saporetti Giuliano, cacciatore che andava in salina. che passava col motorino che andava a caccia, si fermava e mi buttava un pochino su il sale perché ogni gradino… che facevi per fare il cumulo alto… i figli di Celèst20I Celèst. Famiglia contadina che viveva nei pressi delle saline..
M.A.: Chi erano?
M.P.A.: Erano i contadini che erano lì in salina, non so la terra di chi fosse, dicevano dei Busignani, so che avevano la casa che adesso c’è il ristorante come si chiama?
M.A.: E come ti hanno aiutato i Celest?
M.P.A.: Ah, quando mi vedevano dalla finestra che ero là che levavo il sale c’era il più grande che mi veniva… prendeva su il suo motorino “Va là”, mi chiamavano “E pasarot”, “Va là pasaröta lascia lì che ti levo un po’ di bacini io”, no, mi aiutavano, guarda dico sinceramente, naturalmente dopo avevo imparato da mio babbo a cambiare l’acqua lasciavo facevo i buchi, quell’acqua lì non è più buona, la mandavo via, poi aprivo la vasca più grande, dopo chiudevo il buco e foravo da quell’altra parte che venisse l’acqua vergine, diciamo che dopo stava al sole naturalmente e faceva il sale a distanza di quattro giorni circa [Alessi Maria Pia, 22 giugno 2016].
In tal modo per via di un atteggiamento di resistenza a un mondo produttivo regolato da uomini e per uomini, Maria Pia riesce col suo fare combattivo a dar prova di essere all’altezza della posta in gioco, come lei stessa ben esprime: “Cosa si mangiava dopo? Aria di finestra!”.
Maria Pia continuerà a lavorare con il padre fino alla chiusura delle saline e nonostante tutte le traversie della sua vita familiare e lavorativa ancora oggi continua a parlare del lavoro in salina come di un lavoro che amava, del «sale che fioriva» come di una creazione del lavoro delle sue mani e parla ancora oggi dell’alba in salina:
M.P.A.: “Ah è bello, vedi tutta l’acqua luccicare, vedi l’acqua con quella patina sopra di salsedine che è bella rosa, era bello!” [Alessi Maria Pia, 22 giugno 2016].
Alcune considerazioni conclusive
È opportuno, giunti a questo punto, trarre alcune riflessioni conclusive su quanto emerso dalla ricerca sulla presenza lavorativa e non delle donne in salina.
La presenza femminile in termini quantitativi e qualitativi nel mondo produttivo della salina «artigianale» ricalca la separazione dei ruoli su base sessuale, esistente nella famiglia salinara. Tale sistema organizzativo preclude alle donne l’accesso al ruolo economicamente più vantaggioso e soprattutto non subordinato all’uomo, ovvero quello del conduttore della salina.
La forza fisica è l’elemento su cui si basa la maggior parte delle attività maschili e femminili in salina, essa appare una risorsa cruciale e un valore condiviso da parte di entrambi i sessi. ADa questo punto di vista,, il contesto produttivo della salina appare molto simile a quello del mondo agricolo (Pescarolo A., 1996, p. 310).
Le norme condivise socialmente sulla «minorità» biologica femminile non tutelano la donna «cavatrice» (così come la donna contadina) da un eccesso di fatica.
Come sottolinea la storica Alessandra Pescarolo, questo fatto condurrà piuttosto a una disponibilità illimitata al lavoro che viene ritenuta una qualità essenziale delle mogli, e l’esito sarà quello di spingere le donne a lavorare più degli uomini, dividendosi fra lavori relativamente più «leggeri» tipicamente femminili e affiancando gli uomini in quelli di raccolta legati al ciclo stagionale.
La giornata lavorativa della donna sarà molto più lunga di quella dell’uomo, in media 12 ore al giorno nel periodo fra Ottocento e Novecento (Barbagli M., 1984, p. 435).
Maria Pia stessa si divide fra il lavoro di sarta, i lavori domestici e il lavoro in salina che inizia alle due del mattino recandosi in salina con la bicicletta, calzando gli zoccoli e percorrendo a piedi strade sterrate.
Le donne sembrano dover risarcire la famiglia della loro minore capacità di sforzo fisico nell’immediato, o sul breve termine, con lunghe giornate lavorative senza soste e senza alcuna possibilità di riscatto dalla propria condizione: l’appartenenza al sesso femminile.
«Lo stereotipo dell’inferiorità femminile nel lavoro» afferma Alessandra Pescarolo «non è radicato tanto nell’idea di una minore produttività femminile, quanto piuttosto nella convinzione che gli uomini svolgano i lavori più importanti» (Pescarolo A., 1996, p. 313).
L’esame del modo con cui le donne «hanno abitato» il mondo lavorativo e sociale delle saline, attraverso l’analisi dei due casi, Maria Pia Alessi e Adele Strada, hanno mostrato come queste due donne, pur trovandosi in un mondo dove le regole erano già scritte e prevalenti fossero gli elementi costrittivi, abbiano saputo agire all’interno di quel mondo, piegando alcuni eventi importanti della propria vita, lavorativa e familiare, in modo diverso e a loro più favorevole di quanto le regole sociali culturali non scritte avevano loro riservato.
Legenda
M.A.= Maria Antonietta Alessandri
M.P.A.= Maria Pia Alessi, testimonianza rilasciata il 22 giugno 2016
M.A.G.= Maria Adele Giordani, testimonianza rilasciata il 14 luglio 2016
A.S.= Adele Strada, testimonianza rilasciata il 28 ottobre 2015
Riferimenti bibliografici
AA. VV., 1978, La salina di Cervia. Storia, cultura, economia, Grafiche Galeati, Imola.
Barbagli Marzio, 1984, Sotto lo stesso tetto, Il Mulino, Bologna.
Groppi Angela, (curatela) 1996, Il lavoro delle donne, Laterza, Bari.
Groppi Angela, 1996, Introduzione, Il lavoro delle donne, pp. V—XVI, Laterza, Bari.
Foucault Michel, 1998, Le maglie del potere, in Archivio Focault. Interventi, colloqui, interviste. 3. 1978-1985, Estetica dell’esistenza, etica, politica, (curatela) di Alessandro Pandolfi.
Foucault Michel, 2003, La volontà di sapere. Storia della sessualità 1, Feltrinelli, Milano.
Medri S.- Marzelli E., 2007, Storia e cultura di una civiltà salinara, C.F.P. ENGIM, Ravenna.
Pescarolo Angela, 1996, Il lavoro e le risorse delle donne in età contemporanea, pp. 299-344, in Groppi Angela, a cura di, Il lavoro delle donne, Laterza, Bari.
Piccinini Gabriella, 1996, Le donne nella vita economica, sociale e politica dell’Italia Medievale, pp. 5-46, in Groppi Angela, a cura di, Il lavoro delle donne, Laterza, Bari.
Saitta Pietro, 2015, Resistenze. Pratiche ai margini del quotidiano, Ombre Corte, Verona.
Silvestri Alberto, 1998, La salina di Cervia, stazione del Parco del Po, in “Studi Romagnoli” XLIX, pp. 79-100.
Note
- 1Maria Pia Alessi e Adele Strada si sono sempre conosciute e tuttora l’una chiede sempre dell’altra, sono due donne molto diverse nell’aspetto, nei comportamenti e nella loro storia personale. Maria Pia è legatissima al mondo della salina a cui fanno riferimento le sue origini per via paterna, il ricordo di quel mondo risveglia in lei sentimenti positivi, lì da ragazzina ha conosciuto anche l’uomo che, dopo decenni, divenuto vedovo, diverrà suo marito. Adele viene dal mondo contadino e sebbene coniugata a un salinaro, non ha mai condiviso i modi di vita di quel mondo. Ama più spesso parlare di musica, della sua frequentazione del teatro Alighieri a Ravenna e dei suoi viaggi compiuti dopo la separazione dal marito.
- 2Le saline di Cervia, a differenza delle altre, furono condotte fino al ‘59 con un sistema antichissimo, lo stesso usato dai suoi costruttori, producendo un sale diverso da tutto quello coltivato in Italia. Il lavoro era prettamente artigianale e si effettuava la raccolta multipla, in base alla quale la levata giornaliera interessava solo un quarto dei bacini salanti. La raccolta ovvero la pulitura del sale di tutta la salina veniva fatta in quattro giorni consecutivi, poi vi era un giorno di riposo. Solo dopo la seconda guerra del Secolo scorso la pulitura e la raccolta venne fatta cinque giorni su cinque, come la definiva la direzione generale dei Monopoli dello Stato, cioè effettuata tutti i giorni della stagione salifera». Nella mia ricerca si cita solo il primo sistema di raccolta che prevedeva un giorno di riposo. Cfr. Medri S.- Marzelli, E., 2007, Storia e cultura di una civiltà salinara, C.F.P. ENGIM, Ravenna
- 3La «cavatora»: colei (o colui, più raramente) che è impegnata/o a togliere il sale dalle vasche.
- 4Ĕ ghêvar. Attrezzo formato da assicelle che possono avere varie dimensioni. A seconda della grandezza servono per smuovere il sale nei bacini, a rompere la crosta, al livellamento ed all’accumulo del sale tramite un’azione di spingimento vicino agli arginelli, nei bacini salanti per la raccolta.
- 5«Dare giù la crosta». Rompere la crosta che faceva l’acqua e che impediva la formazione del sale
- 6La cassettina o la cassetta. Il paniere del sale, la panira, che serve alle cavatrici per trasportare il sale accumulato.
- 7E palunzël. Pala piatta di legno simile al badile che può essere di varie dimensioni e per questo può essere adatto a più lavori: cavatura, carico, scarico e accumulo del sale.
- 8La verga. Sentiero di terra battuta e compatta che serviva per il trasporto del sale con il carriolo dai bacini salanti all’aia o «tomba del sale»
- 9Al Milēni. Nome proprio di alcune saline. Le saline prima del 1959 erano circa 149 (alcune erano state accorpate) e il nome era in qualche modo associato a chi era proprietario dei fondi. Le saline dette al Milēni erano fra le più grandi.
- 10Il Premio del sale. Alla fine di ogni campagna salifera venivano assegnati 10 premi di sale a coloro che avevano prodotto il miglior sale ovvero il sale più bianco. Il premio veniva dato in forma di un attestato scritto e doveva essere accompagnato anche da un riconoscimento in danaro (cfr. Medri S.- Marzelli E., 2007, Storia e cultura di una civiltà salinara, C.F.P. ENGIM, Ravenna, p. 55). Nella mia ricerca raccontano di aver ricevuto il premio del sale Libero Daissè, Silvano Giunchi, M. Pia Alessi. Nessuno ha menzionato un premio in danaro.
- 11La rimessa del sale, detta «l’armésa de sèl», trasporto e riposizionamento del sale che avveniva in autunno e costituiva l’ultima fase del processo produttivo. Avveniva solitamente nella seconda metà di settembre con il trasporto di quanto prodotto lungo il percorso dei canali e attraverso il caricamento del sale nelle burchielle, (detta al singolare «burcèla») che potevano contenere fino a 100 ql. di sale, per giungere ai magazzini del Seicento chiamati Torre e Darsena sotto la cura della Torre di San Michele. La rimessa del sale proseguiva fino al mese di novembre. Nel tempo ha sempre costituito un evento di grande interesse per tutta la città, a cui partecipavano donne e bambini, e finanche personaggi illustri che venivano da città vicine e lontane. Cfr. parte su padri e figli in salina
- 12Il carriolo, attrezzo atto al trasporto del sale dai bacini salanti all’aia con un grosso rullo per ruota per non infossarsi nel fango e fornita di due stanche lunghe ed elastiche per sgravare in parte il peso sulle braccia del salinaro.
- 13La «tomba del sale». Spiazzo dove si faceva il cumulo del sale o «mont de’ sêl»
- 14La «doppia cavata». Raccolta del sale che veniva fatta per due volte in una giornata perché c’era il rischio di imminenti condizioni atmosferiche avverse che avrebbero potuto danneggiare il raccolto.
- 15«Dare il barcone». Il barcone era il termine con cui si usava chiamare i bacini delle saline. Dare il barcone significava dare l’allarme con l’alzata della bandiera rossa quando stava arrivando una tempesta in salina. Allora nel Casello di Ravenna, oggi chiuso, veniva alzata la bandiera rossa. Non c’erano alberi fra le case dei salinari, che costituivano il borgo dei salinari, e il Casello di Ravenna, e questo permetteva, nonostante la distanza, di poter vedere la bandiera rossa dalle finestre delle case del borgo e accorrere in salina per raccogliere il sale.
- 16II rivello. Argine perimetrale della salina per proteggerla dalle alluvioni.
- 17La bandiera rossa. Simbolo di pericolo che veniva esposta al casello di Ravenna in caso di rischio di pioggia o di tempesta.
- 18«Affondare le saline». Riempire d’acqua le saline affinché non potessero essere utilizzate.
- 19Saporetti Giuliano, cacciatore che andava in salina.
- 20I Celèst. Famiglia contadina che viveva nei pressi delle saline.